Laocoonte e i suoi figli è un iconico gruppo scultoreo che, oggi, si può ammirare nei Musei Vaticani. Rappresenta una scena decisamente impressionante: dei serpenti marini che stritolano un uomo terrorizzato e i suoi due giovani figli, intenti a lottare invano contro le spire delle creature, nel disperato tentativo di salvarsi la vita. Ritratto mentre tenta di indietreggiare per compiere un inutile gesto per liberarsi, Laocoonte è in procinto di essere morso da uno dei serpenti.
Il gruppo scultoreo in marmo ha esercitato un'enorme influenza sull'arte del Rinascimento. Il classistica britannico Nigel Spivey lo ha descritto come "l'icona prototipica dell'agonia umana" nell'arte occidentale.
La storia di Laocoonte varia leggermente tra le diverse fonti classiche, ma la più famosa è quella raccontata da Virgilio nell'Eneide, un'opera che fu completata nel 19 a.C. Nel secondo libro, che narra della parte conclusiva dell'assedio di Troia, Laocoonte avanza dei sospetti sul celebre cavallo di legno mandato dai greci come tranello. Dopo aver colpito il cavallo con una lancia, Laocoonte e i suoi figli vengono attaccati dai serpenti marini, che li conducono alla morte: i troiani interpretano l'evento come una punizione divina, e fanno entrare il cavallo in città (leggi anche: la storia della scoperta archeologica di Troia da parte di Heinrich Schliemann).
La scoperta del gruppo del Laocoonte
La scoperta dell'incredibile gruppo scultoreo di Laocoonte e i suoi figli avvenne nel 1506, e si può quasi vedere come un punto di svolta nell'arte rinascimentale. Il suo impatto fu duraturo, in particolare su scultori come Michelangelo. Nel gennaio un proprietario terriero, Felice de Fredis, ordinò una costruzione per la sua vigna, sulle pendici dell'Esquilino. Durante il corso dei lavori, venne fatta una scoperta straordinaria: una camera sotterranea che conteneva un certo numero di impressionanti sculture di marmo.
Le sculture non erano completamente intatte. A Laocoonte mancava il braccio destro, e dai due figli mancavano diversi frammenti. Erano rimasti lì nascosti per secoli. Quando Papa Giulio II seppe della scoperta, mandò una delegazione per esaminarla. Appassionato di ciò che riguardava la Roma classica, mandò anche Michelangelo, oltre al suo architetto Giuliano da Sangallo, che quando vide l'opera dichiarò immediatamente: "Questo è il Laocoonte di cui scrisse Plinio".
Plinio il Vecchio, infatti, aveva parlato di un'opera di questo tipo nel suo Storia Naturale, risalente al primo secolo. Era una raccolta di conoscenza che riguardava la storia, la scienza e le arti. Nell'opera, Plinio descriveva una scultura "al di sopra di tutto ciò che le arti hanno prodotto. Da un singolo blocco di marmo, gli artigiani di Rodi, Agesandro, Polidoro e Atenodoro, hanno creato un gruppo di Laocoonte e i suoi figli, con i serpenti che si arrotolano intorno a loro".
Il braccio mancante del Laocoonte
Entro il marzo dello stesso anno, l'opera venne spostata nel Cortile del Belvedere del Vaticano. Molte questioni rimanevano aperte, benché il soggetto fosse stato identificato in pochi istanti. Uno degli aspetti critici era che, mentre Plinio descriveva l'opera come proveniente da un unico blocco di marmo, la scultura rinvenuta era stata creata con almeno sette pezzi differenti.
Inoltre, gli artisti proposero differenti interpretazioni per quanto riguardava le parti mancanti. Nel 1510 venne organizzata una competizione per proporre il migliore modello per sostituire il braccio mancante del Laocoonte. Michelangelo suggerì che dovesse essere piegato all'indietro, per evidenziare lo sforzo del protagonista per liberarsi. Raffaello, rivale di Michelangelo e giudice del concorso, scelse una posa differente, con un braccio disteso, che venne aggiunto al lavoro quando fu restaurato nel 1520.
Fu Michelangelo a "falsificare" il Laocoonte?
Michelangelo fu tra gli artisti che maggiormente si fecero influenzare dalla scultura, fino al periodo Barocco. Era rimasto impressionato dall'estetica sinuosa dell'opera, e dalla rappresentazione delle figure maschili.
Alcuni storici si sono spinti ad ipotizzare che la scultura rinvenuta nel 1506 fosse in realtà stata "falsificata" da Michelangelo, e che la paternità dell'opera sia dunque da attribuire a lui e non ad artigiani di epoca classica. Lynn Catterson ha avanzato questa teoria dopo aver visto uno schizzo realizzato dallo scultore nel 1501: afferma che ci sono evidenti somiglianze stilistiche con la scultura. Secondo Catterson, Michelangelo avrebbe segretamente creato il gruppo scultoreo del Laocoonte per poi nasconderlo e farlo trovare.
La teoria è stata criticata perché Michelangelo non aveva i mezzi per affrontare le difficoltà logistiche ed economiche di tale impresa. La maggior parte degli storici ritengono che la scultura possa essere, al massimo, una copia di epoca romana di un'opera di epoca ellenistica. La teoria di Catterson è stata definita "non credibile in alcun modo", e Ruskin effettua una differente comparazione tra il gruppo del Laocoonte e le opere di Michelangelo, distinguendo nettamente le seconde e assegnando loro un giudizio ben più positivo.
Catterson ricorda che Michelangelo era un lavoratore maniacale, che dormiva soltanto tre ore a notte, e avrebbe avuto il tempo di creare il gruppo scultoreo mentre lavorava anche alla "Pietà", per cui aveva firmato un contratto nel 1498 e che completò nel luglio del 1500. Aveva una propria abitazione con uno spazio di lavoro e un assistente fidato, Piero d'Argenta, e anche accesso al marmo greco, e questo gli avrebbe dato i mezzi. Il fatto che l'opera sia composta da diversi pezzi di marmo riflette, secondo Catterson, la necessità di trasportare il lavoro finito nel luogo della sua scoperta.
I critici della teoria ribattono che i fatti, semplicemente, non tornano. Troppe persone sarebbero state coinvolte nel processo, e la voce sarebbe trapelata facilmente. "Michelangelo aveva molti nemici, che sarebbero stati deliziati di accusarlo di una tale falsificazione" ha affermato Leo Steinberg, ricercatore esperto di Michelangelo.
La posizione di Catterson è in ogni caso interessante perché esprime con forza l'intensa connessione tra Michelangelo e il gruppo scultoreo del Laocoonte, che per gli studiosi rinascimentali fu un perfetto esempio di dinamismo e naturalismo di quell'arte ellenistica che così tanto ammiravano.
Molto tempo dopo venne rinvenuto un nuovo frammento in marmo, e nel 1957 i Musei Vaticani confermarono che era il famoso braccio perduto del Laocoonte. Venne riattaccato alla statua originale: il braccio è piegato all'indietro, proprio come Michelangelo aveva suggerito 450 anni prima.