Heinrich Schliemann sarebbe passato alla storia per una scoperta archeologica sorprendente. A lui si deve il ritrovamento storico di qualcosa che, ai tempi, era da molti ritenuto leggenda: la città di Troia, ambientazione del poema omerico Iliade.
Schliemann fu un self-made man: era nato in Germania, nel 1822, da una famiglia di origini modeste. Fu proprio suo padre, però, ad infondere in lui l'amore per le civiltà antiche. Gli leggeva i versi dei poemi omerici e gli raccontava delle gesta degli antichi eroi della leggendarie città di Troia. Nel 1829, quando Heinrich aveva sette anni, il padre gli regalò un libro di storia in cui, come raccontò l'archeologo nella sua autobiografia, c'era un'impressionante illustrazione di Troia in fiamme, con Enea in fuga dalla città con il vecchio padre sulle spalle e il figlio tenuto per mano.
Secondo l'autobiografia, forse un po' romanzata, Heinrich Schliemann rimase talmente impressionato dall'imponenza delle mura che espresse al padre il desiderio di ritrovarle. Per un po' di anni, dopo allora, si sarebbe dimenticato di questo proposito, ma alla fine fu proprio ciò che fece passare alla storia il suo nome.

La fortuna di Heinrich Schliemann
Dopo aver perso la madre, Heinrich venne affidato alle cure dello zio paterno, un pastore, che fece in modo che il giovane studiasse con il filologo Carl Andress, che apprezzo le capacità del ragazzo. A causa di problemi economici familiari, tuttavia, il giovane Schliemann fu costretto a lasciare la scuola e ad iniziare a lavorare come garzone presso una drogheria di Furstenberg.
Lavorando duramente e per molte ore al giorno, dimenticò quello che aveva imparato. Dalla sua mente scomparvero i poemi omerici e le città perdute, perché c'era spazio solo per gli affari della bottega. Un giorno, però, il giovane non venne colpito dalla bellezza di alcuni versi in greco, recitati da un ragazzo ubriaco, il figlio di un pastore locale, che era stato espulso dal ginnasio per cattiva condotta e divenuto apprendista di un mugnaio. Schliemann raccontò di avere speso gli ultimi centesimi che gli rimanevano per comprare ancora da bere all'uomo, a patto che ripetesse i versi in greco che lo avevano stregato. Da quella sera, Heinrich arse dal desiderio di imparare il greco antico. Ancora non lo sapeva, ma i versi che lo avevano colpito, neanche a farlo apposta, erano tratti dall'Iliade e dall'Odissea.
Ben presto, i lavori e la carriera di Heinrich Schliemann ebbero un nuovo obiettivo: racimolare abbastanza ricchezza da poter pagare gli scavi per ritrovare Troia. Trovò lavoro come usciere e si trasferì dunque ad Amsterdam, dove fece il fattorino. In una fredda soffitta, in quel periodo, studiò a fondo e imparò tantissime lingue: l’olandese, il portoghese, l’italiano, l’inglese, il francese e il russo.
Nel 1846, quando aveva ventiquattro anni, la sua ditta lo mandò a San Pietroburgo. La sua grande abilità nell'apprendimento di nuove lingue si sarebbe rivelata di fondamentale importanza per la sua carriera. Le sue attività nel campo del commercio furono sempre più prospere.
Infine, nel 1850, Heinrich Schliemann salpò per gli Stati Uniti e iniziò a commerciare polvere d'oro. Mise da parte una discreta fortuna, prestando denaro ai cercatori d’oro. Compì alcuni traffici poco chiari e venne anche accusato di frode. Per evitare problemi, tornò a San Pietroburgo e sposò la figlia di un avvocato benestante. Ripresa la carriera nel commercio, Schliemann mise da parte ulteriori ricchezze grazie alla guerra di Crimea, durante la quale riforniva di vettovaglie e di materiale bellico le truppe dello zar.

La ricerca di Troia
Passò un altro decennio prima che Schliemann si sentisse pronto a compiere il proprio destino. Nel 1868, dopo aver lasciato la prima moglie per sposare la greca Sophia Engastromenou (da cui ebbe due figli, Andromaca e Agamennone), intraprese una serie di viaggi e arrivò in Turchia, dove si mise alla ricerca della leggendaria città di Ilio.
Ai tempi, l'Iliade era considerata da tutti un'opera assolutamente di fantasia. In pochi credevano che Troia fosse esistita davvero. Per l'uomo, invece, i racconti degli antichi eroi erano storia, ed era determinato a dimostrarlo. "Il mio cuore era sempre attaccato al denaro ma solo perché lo consideravo un mezzo per raggiungere questo grande scopo della mia vita" avrebbe scritto in seguito. Heinrich Schliemann si affidò ad Omero per ritrovare la città. Il racconto, in effetti, si rivelò essenziale per la ricerca. Alcuni, infatti, sostenevano che Troia, un tempo, sorgesse nei pressi del villaggio Bunarbaschi.
Schliemann usò l'Iliade per ricavare importanti informazioni geografiche. Leggendo più volte il poema, infatti, aveva capito che il sito doveva presentare tre caratteristiche: dovevano essere presenti due sorgenti, una d'acqua calda e una d'acqua fredda (descritte da alcuni versi dell'opera), doveva distare dalla costa non più di una certa distanza (gli eroi omerici avevano percorso la distanza fino al mare più volte in un giorno) e il perimetro della città doveva essere limitato, perché durante la loro lotta Ettore ed Achille lo avevano percorso con rapidità per tre volte consecutive.
Bunarbaschi non presentava queste caratteristiche, avendo ben quaranta sorgenti d'acqua ma tutte con una temperatura intorno ai diciassette gradi, distando tre ore dalla costa ed essendo circondato da un pendio talmente ripido che neppure Achille avrebbe potuto percorrerlo per tre volte di seguito. Bunarbaschi, inoltre, non presentava resti di mura o frammenti di vasellame.
Heinrich Schliemann e la supervisione degli scavi a Hissarlik
Schliemann prese dunque in considerazione una nuova ipotesi, avanzata in realtà dal viceconsole britannico Frank Calvert (benché in seguito Schliemann non gli riconobbe, secondo molti, il credito dovuto). In collaborazione con Calvert, Schliemann iniziò a cercare Troia a Hissarlik, un'altura un po' più a nord. Inizialmente effettuò uno scavo clandestino, suscitando le ire del governo turco. Nel 1871 ottenne l'autorizzazione a compiere le ricerche in terra turca, e capì finalmente di essere vicino alla soluzione.

Durante gli scavi, che Heinrich Schliemann supervisionò con difficoltà e fatica, egli venne costantemente supportato dalla moglie Sophia, anche lei appassionata dell'Iliade. I due portavano avanti l'impresa con ostinazione, superando i tanti ostacoli, quali la fatica degli operai che portava a defezioni, la mancanza di acqua potabile, la febbre malarica e le prese in giro del mondo accademico. Fin da quando era arrivato sulla collina, eppure, l'uomo era certo di quello che avrebbe trovato. E aveva ragione: Troia era proprio lì. Gli scavi rivelarono però ben di più di ciò che ci si poteva aspettare.
Non c'era, infatti, una sola città. C'erano ben nove città, costruita l'una sopra l'altra in diverse epoche storiche. Hissarlik rivelò una storia incredibile, ma ora c'era una nuova domanda: quale di queste era quella descritta nel poema omerico? Analizzando vari strati archeologici, Schliemann ipotizzò che la città che cercava corrispondeva al secondo o al terzo strato dal basso. Si sbagliava, perché lo strato giusto era il sesto, ma non lo avrebbe mai scoperto: soltanto dopo la sua morte, infatti, ciò venne confermato. Prima, l'archeologo avrebbe fatto un'altra, straordinaria scoperta.

Mentre scavava, l'avventuriero iniziò a demolire le mura di epoca più tarda. Rinvenne terracotte e artefatti di ogni tipo. Rimosse strati e strati di storia e rivelò una ricchezza incredibile. Lo strato più antico risaliva addirittura preistoria. Nel secondo o nel terzo strato c'erano le tracce di un incendio, nonché i resti di un'imponente porta. Lui pensò di aver scoperto la Porta Scea e il palazzo di Priamo.
Il tesoro di Priamo
Nel 1873, quando gli scavi si avvicinavano alla fine, Schliemann e la moglie scoprirono qualcosa di insolito. Andando un po' più a fondo rivelarono un tesoro enorme: coppe d'oro, vasi d'argento, gioielli di un'incredibile bellezza. L'archeologo dilettante aveva scoperto quello che immaginò essere il leggendario oro di Priamo.

In realtà, però, gli oggetti (rinvenuti nel secondo strato) risalgono a un'epoca ancora più antica, ovvero alla prima metà del III millennio a.C. (mentre l'Iliade si può collocare intorno al XII secolo a.C.). Schliemann li portò fuori dal paese senza permesso, e l'ufficiale incaricato di sorvegliare gli scavi venne imprigionato. Il governo gli revocò la concessione di scavo e gli chiese una parte del ritrovamento, che venne conservata nei musei di Istanbul, mentre un'altra parta venne tenuta da quelli che erano i Musei Imperiali di Berlino.

Nel 1945, gli oggetti vennero trafugati dall'Armata Rossa sovietica e se ne perse le traccia. Nel 1993 riapparvero nel Museo Puskin di Mosca, e oggi sono in parte conservati anche dall'Ermitage di San Pietroburgo. I musei tedeschi provarono a recuperare il tesoro, ma senza successo.
Critiche e controversie sul lavoro di Schliemann
Heinrich Schliemann era un archeologo autodidatta e i suoi scavi vennero giudicati da molti esperti a dir poco rozzi, per non dire distruttivi. L'uomo infatti, aveva paradossalmente distrutto alcune parti di quello che era il reale strato che corrispondeva a Troia. Qualcuno ha osservato, con amara ironia, che gli scavi di Schliemann erano stati così raffazzonati che egli aveva fatto a Troia quello che i greci non erano riusciti a fare ai tempi dell'Iliade, ovvero radere completamente al suolo le mura della città.
Un articolo pubblicato sulla National Geographic Society accusò l'uomo di frettolosità, puntualizzando che i gioielli ritenuti anticamente di proprietà di Elena di Troia erano in realtà molto più antichi. I metodi di Heinrich Schliemann sono stati descritti come "selvaggi e brutali". Un'altra critica ha riguardato il fatto che nessuno aveva tenuto conto di cosa veniva trovato. Informazioni preziose sono state distrutte per sempre, man mano che strati su strati di reperti venivano scartati e rasi al suolo. Altri archeologi, comunque, si sono espressi in favore di un "perdono" nei confronti di Schliemann, puntualizzando che anche gli archeologi esperti, nel 1800, non adottavano tecniche particolarmente raffinate.