Il popolo dei Celti ebbe il suo massimo splendore tra il V e il III secolo a.C. Essi erano stanziati in un'ampia area dell'Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, ed avevano sviluppato una cultura originale e articolata, per molti versi diversa da quella romana.
Una delle figure più curiose dei Celti è quella dei druidi, gli antichi capi religiosi che erano anche i detentori della conoscenza celtica. Tra i druidi c'erano poeti, astronomi, maghi e astrologi. Per acquisire le conoscenze e le competenze necessarie a diventare druido, fra cui nozioni di alchimia, medicina, legge, scienza e altro, era necessario un lungo percorso di quasi 20 anni di studio. Figure potenti e influenti, non ci sono dubbi circa la loro esistenza. Sono le controparti femminili, le antiche druidesse, ad essere decisamente più difficili da sondare. Quando si parla delle druidesse celtiche, il confine tra realtà e leggenda è difficile da tracciare.
Nelle leggende medievali irlandesi esse venivano chiamate “bandrui” (donna-druido). La loro esistenza, però, è confermata da fonti greche e romane. I romani stessi ne incontrarono molti, e ne uccisero gran parte, distruggendo la loro produzione letteraria. Gli imperatori limitarono il druidismo fino a rendere del tutto illegale, e la cristianizzazione dell'Europa del Nord spazzò via i druidi una volta per tutte.
Le druidesse, in quanto donne, fecero ancora più fatica a lasciare la propria traccia nella storia. La loro eredità fu più sottile e diffusa, e la loro influenza fu diversa anche per il ruolo che, da un certo punto in poi, esse ricoprirono: quello di profetesse. La figura della druidessa, in ogni caso, aiuta a comprendere meglio quanto fosse sfaccettata la condizione della donna nell'epoca classica: non c'erano soltanto le donne romane, tendenzialmente assoggettate agli uomini. Tra i celti, le donne potevano essere potenti, influenti e istruite.

Druidesse tra realtà, profezia e leggenda
Il ruolo delle druidesse non è ancora emerso con estrema chiarezza. Era complesso, e bisogna considerare che la società celtica tenne sempre nascosti gli ambiti del proprio sapere sacerdotale al popolo greco. Un aspetto molto importante, però, è che la donna celtica era molto più libera di quella greca e romana. Esisteva un buon equilibrio tra uomini e donne: queste ultime potevano ereditare ed essere elette a qualsiasi carica, compresa quella di comandante in capo degli eserciti.Pare che le donne celtiche, che potevano assumere ruoli di grande potere e responsabilità, riuscivano ad intimorire con facilità gli uomini romani, poco abituati a confrontarsi con donne potenti e guerriere.
C'è chi ritiene che le druidesse fossero anche guerriere, oltre ad essere sacerdotesse. Ma le fonti più ricche sono forse relative al loro ruolo da profetesse. I romani stessi riportarono in molti casi come queste donne avessero capacità divinatorie. Nella Historia Augusta, Vobisco ci racconta vari episodi e narra come Diocleziano, Alessandro Severo e Aureliano avessero avuto rapporti con alcune druidesse.
Aureliano consultò le druidesse di Gallia per sapere se il grande Impero sarebbe rimasto in mano ai suoi discendenti:
Aureliano un giorno consultò le Druidesse di Gallia per chiedere loro se l’Impero sarebbe restato in mano ai suoi discendenti, ma quelle risposero che nessuno nello Stato avrebbe avuto un nome più eclatante di quello dei discendenti di Claudio.
Secondo le Historiae di Tacito (VI,65) , le druidesse avevano una reputazione straordinaria, e i romani le consultavano spesso. La sciamana Veleda, della tribù dei Bructeri, era un'esperta divinatrice che esercitava chiusa in una torre. Tacito raccontava che Veleda:
esercitava una vasta autorità, secondo un’antica testimonianza germanica per cui s’attribuiscono a molte donne il dono della profezia e qualità divine
Vopisco (Numerianus XIV, 2) racconta come Diocleziano avesse incontrato una druidessa in una locanda:
"Diocleziano, che militava ancora nei ranghi inferiori, ed era di stanza in Gallia nel paese dei Tungri, si trovò in una locanda a fare i conti dei suoi costi giornalieri con una donna che era una druidessa. Questa a un certo punto gli disse: <Diocleziano, sei troppo avaro e spilorcio!”. Ed egli le rispose scherzando: “quando sarò imperatore, allora sì che largheggerò!>. E si dice che la druidessa avesse risposto : <Diocleziano, non scherzare, sarai infatti imperatore, dopo aver ucciso il cinghiale>.
Da quel momento, Diocleziano andò spesso a caccia per abbattere più cinghiali possibile. Non divenne imperatore, tuttavia, fino a quando non uccise il prefetto Arrio, soprannominato appunto "il cinghiale".

Le druidesse nelle fonti romane
Tacito parla delle druidesse in relazione al massacro dei druidi avvenuto sull'isola di Môn, in Galles. Secondo lui, le "bandrui" difendevano l'isola e maledivano gli invasori. Lo storico osservava, non senza biasimo, che non c'era alcuna distinzione tra uomini e donne.

Alcune fonti classiche parlano di come le bandrui vivessero in isolette dove risiedevano in comunità sacerdotali femminili. Tra gli altri, ne scrissero Artemidoro, Strabone, Pomonio Mela, Tacito e Plutarco. Quest'ultimo parla di come le donne celtiche fossero sorprendentemente attive nella negoziazione dei trattati e nella pianificazione delle strategie di guerra, e di come partecipassero alle assemblee pubbliche.
Lo storico greco del I secolo Strabone, invece, parlò di un'isola sulla foce della Loira dove risiedeva una comunità femminile appartenente alla tribù dei Namneti, un popolo confermato dalle ricerche archeologiche. Strabone raccontava di come le sacerdotesse si allontanassero dalla comunità soltanto per incontrare i propri mariti.
Il geografo romano Pomponio Mela (nel De Chorographia) ci racconta di nove vergini sacerdotesse:
Sena, nel mare britannico, di fronte al litorale, presso gli Osismii, è degna di nota per l’oracolo della divinità gallica le cui sacerdotesse, si dice, sono nove vergini perpetue. Esse sono chiamate Gallisenae; pretendono di calmare, con i loro canti e con i loro singolari artifici, i mari in tempesta e i venti e di trasformarsi in qualsivoglia animale. Sanno guarire quello che altri non riescono a guarire e sanno predire il futuro.
Nel racconto di Pomponio Mela, le druidesse sembrano assumere tratti magici, quasi mitici. Hanno potere sugli elementi naturali e possono scegliere la forma da assumere. Sono profetesse e guaritrici. Sembrano quasi delle dee.
Le tracce archeologiche delle druidesse
Le druidesse trovano riscontro anche nella ricerca archeologica. La loro esistenza è testimoniata da diverse iscrizioni rivenute in Francia ad Arles, a Metz, e a Le Prugnon. Alcune iscrizioni erano dedicate al dio Sylvanus. Si dice che epoca medievale, però, alcuni studiosi avessero tentato di metterne in dubbio l’esistenza per negare alle donne un ruolo attivo come guide spirituali.

Fra i fiumi Reno e Mosella, in Germania, sono state trovate numerose sepolture femminili risalenti al IV secolo a.C. Queste donne erano seppellite in mezzo a veri e propri tesori: gioielli e ricchezze di ogni tipo, fra cui preziosi collari in metallo che rappresentavano il loro elevato status sociale. I ricercatori confermano che soltanto un druido poteva avere uno status sociale abbastanza elevato da poter aspirare a una sepoltura tanto preziosa.
Druidesse, streghe e badesse nelle prime epoche cristiane
Le donne celtiche praticarono la magia anche quando i druidi maschi erano già scomparsi, così come testimoniato anche dai rapporti tra profetesse e imperatori romani. Quando sopraggiunse il cristianesimo, il lavoro delle druidesse si svolse in segreto. La Chiesa ne proibì l'attività, e le perseguitò come "streghe" e "eretiche".
In Irlanda, lo spirito della tradizione celtica durò a lungo, e persino i primi santi e sante irlandesi avevano tratti pagani. Le badesse dei primi conventi cristiani di area celtica erano descritte con connotazioni molto particolari, "lucenti dei mistici chiarori della santità, pudiche nei candidi panni, monache e badesse dagli occhi vivaci". Le prime risolute badesse provvedevano ai compiti pastorali con il medesimo fervore e pari aggravio di responsabilità degli abati, predicavano con voce sicura e squillante, imponevano le mani per guarire gli ammalati.