Tra storia, società e mitologia: l'intima relazione tra il popolo vichingo e la figura del lupo mannaro
Durante una delle sue avventure, Sigmundr, eroe della leggendaria Saga norrena dei Völsungar, vaga con il figlio Sinfjötli nella foresta, in cerca di ricchezze.
Tra storia, società e mitologia: l'intima relazione tra il popolo vichingo e la figura del lupo mannaro
Durante una delle sue avventure, Sigmundr, eroe della leggendaria Saga norrena dei Völsungar, vaga con il figlio Sinfjötli nella foresta, in cerca di ricchezze.

Durante una delle sue avventure, Sigmundr, eroe della leggendaria Saga norrena dei Völsungar, vaga con il figlio Sinfjötli nella foresta, in cerca di ricchezze. I due eroi si imbattono in una casa, e dentro trovano due facoltosi uomini addormentati, con spessi anelli d'oro al dito. A quanto pare, sugli abitanti della casa grava una maledizione. Delle pelli di lupo sono sospese sopra di loro, lasciandoli liberi soltanto una volta ogni dieci giorni.

Sigmundr e Sinfjötli, incantati dalle lussuose pellicce, cercano di appropriarsene. Appena le indossano, tuttavia, si rendono conto di essere costretti a camminare a quattro zampe, e di avere un lungo muso e zanne affilate. Correndo nella foresta, i due ululano alla luna finché non si imbattono in un gruppo di uomini. Il loro istinto emerge con forza: Sigmundr e Sinfjötli trucidano gli uomini senza lasciare superstiti. Rimasto senza nessuno da aggredire, Sigmundr ha l'istinto di attaccare Sinfjötli, fermandosi appena in tempo. Undici giorni dopo la loro trasformazione, padre e figlio tornano umani e bruciano le pellicce.

Lo stretto legame tra i vichinghi e i lupi

La storia di Sigmundr e Sinfjötli è uno dei più antichi e popolari racconti vichinghi, e fa parte della Saga dei Völsungar (anche conosciuta come Saga dei Volsunghi). Quest'ultima raccoglie numerosi racconti tramandati oralmente per secoli e secoli, finché non vennero scritti nel 1270 circa. La storia della maledizione dei due eroi rappresenta alla perfezione uno dei temi più ricorrenti nella mitologia dei vichinghi: il lupo, e in particolare la trasformazione dell'umano in lupo.

Per i vichinghi, il lupo rappresenta qualcosa di profondo, arcaico. È il contatto con la loro parte animalesca, e allo stesso tempo il timore di quest'ultima. Esistono almeno cinquanta diverse storie sul tema dei lupi mannari che i vichinghi, nei secoli, si raccontavano intorno al fuoco. Ma non solo: la figura del lupo è incastonata anche nella mitologia. L'esempio per eccellenza è Fenrir, il cui nome significa proprio "lupo della palude", gigantesca creatura nata dall'unione tra il dio Loki e la gigantessa Angrboða, legata al mito del Ragnarǫk (la "fine del mondo" norrena).

Il Ragnarok

Lo spirito del lupo ricopriva un ruolo importantissimo per i guerrieri vichinghi. Alcuni gruppi di berserker, infatti, abbracciavano in pieno la loro natura animalesca: ululavano e mordevano in battaglia, arrivando addirittura ad uno stato di frenesia tale da attaccare i loro stessi compatrioti. Fu così che le vittime delle incursioni dei vichinghi, che scendevano dal mare, iniziarono a chiamarli "lupi di mare". Nacquero storie popolari che collegavano questi popoli ai lupi mannari, da cui si iniziò a vociferare che potessero discendere.

L'ossessione dei vichinghi per i lupi si ritrova anche nei manufatti che sono arrivati fino a noi: un esempio è la testa ferina intagliata con cura che è stata ritrovata nella nave di sepoltura di Oseberg

Fenrir incatenato
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La complessità simbolica del lupo per la società vichinga

La maggior parte delle storie vichinghe sui licantropi, così come quella di Sigmundr e Sinfjötli, evidenzia con forza la complessità simbolica del lupo per la società vichinga. Questi animali erano ammirati per la loro forza, ma anche temuti in una società in gran parte contadina. La forza dei lupi è un po' un controcanto della debolezza umana. Alcune tribù vichinghe onoravano questa forza, abbracciando la connessione con i lupi. Ma questo significa anche spogliarsi della propria natura umana: non solo della debolezza, ma anche del giudizio, dell'autocontrollo.

Nella storia dei due eroi di Völsungar, le "vesti" (e lo spirito) del lupo sono una maledizione. La connotazione è negativa: i due eroi sono costretti ad abbracciare il fervore animalesco, e non possono controllare la loro nuova natura.  Questo riflette molto bene il concetto di "paura di diventare il mostro", delineato da Jeffery Jerome Cohen nel saggio Monster Theory (Seven Theses).

Tyr con la mano in bocca a Fenrir

In un certo senso, i lupi erano anche associati allo stare "fuori dalla società". La parola in antico norreno vargr, infatti, significa tanto "lupo" quanto "esilio". L'esilio era la punizione peggiore per i vichinghi, che conferivano particolare importanza ai legami sociali. Era come una morte sociale, che poteva portare a morte reale in quanto chi uccideva un esiliato non veniva punito in alcun modo. In effetti, per molte antiche culture, era questo il significato di "fuorilegge": essere "al di fuori della protezione della legge", così che l'individuo potesse essere ucciso "come un lupo" selvaggio.

D'altro canto, i lupi si muovono in branchi, che hanno un altro (e opposto) significato simbolico: quello di un ordine sociale compatto e potente. La società vichinga funzionava in modo simile a quelle dei lupi, con diversi maschi alfa che, occasionalmente, lavoravano insieme.

Anche nella mitologia norrena il lupo ha un doppio significato. Fenrir, infatti, mostruoso lupo antropomorfo, viene tenuto legato con delle catene magiche, sapendo che deve attendere il Ragnarǫk, il "giorno del giudizio". In quel momento, il lupo sarà lasciato libero, e secondo una profezia divorerà Odino, il Padre di Tutto.

Si ritiene che la pietra runica di Tullstorp dell'era vichinga raffiguri un lupo, forse il Fenrir che mentre divora le divinità.

Gli Úlfheðinn, i temibili guerrieri-lupo che abbracciavano la propria natura animale

Si dice che i temibili guerrieri vichinghi úlfhéðnar, seguaci di Odino, mordessero i propri scudi e combattessero con le proprie unghie, senza provare alcun dolore in battaglia. Invece di un'armatura tradizionale, gli úlfhéðnar indossavano soltanto pelli di lupo. 

Qualunque sia la verità sui loro stili di combattimento, è altamente probabile che questi guerrieri si sottoponessero a particolari rituali magici per "connettersi spiritualmente con gli spiriti degli animali selvaggi. Assumevano birra insieme ad un estratto di amanita muscaria e digitale. Queste sostanze davano loro allucinazioni, aumentavano il battito cardiaco e provocavano scariche di adrenalina. Induceva in loro uno stato di frenesia irrefrenabile, utile al combattimento. Secondo la studiosa Aðalheiður Guðmundsdóttir, dell'Università dell'Islanda, "è molto più facile andare in battaglia immaginando di essere un animale selvatico, piuttosto che l'adolescente che sei".

Eppure, il dualismo che circonda la figura del lupo si nota anche qui: i selvaggi úlfhéðnar, infatti, erano considerati anche guerrieri di prima scelta, tanto che il re Harald I usava un gruppo di questi uomini come guardie del corpo. Questi uomini erano seguaci di Odino, che era il dio della follia e della saggezza.

(h/t Atlas Obscura)

Bibliografia e approfondimenti

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