Quando diede alla luce Irène Némirovsky, la madre Fanny aveva soltanto 16 anni. Nel quartiere yiddish di Kiev, i primi anni della futura scrittrice sarebbero stati duri e infelici. Il tremendo rapporto con la madre, nonché l'odio che Irène sviluppò nei confronti di quest'ultima, sarebbe in seguito diventato uno dei grandi temi dei suoi romanzi.
Il difficile rapporto di Irène Némirovsky con i suoi genitori
Fino all'adolescenza, Irène Némirovsky non vide quasi mai i suoi genitori: come accadeva spesso nelle famiglie ricche, infatti, ella venne affidata alla cura delle governanti. Dall'adolescenza, poi, Fanny iniziò a vivere la figlia come una potenziale minaccia. Una "nemica", potenzialmente in grado di oscurare la sua avvenenza.
L'infanzia della Némirovsky passò così: tra un padre interessato soltanto al denaro (e annegato dai suoi stessi vizi) e una madre distante, narcisista e capricciosa che neanche provava a nascondere le sue relazioni extraconiugali. "Mammina non era mai in casa." scrisse Irène "Pranzava, si vestiva, usciva, si vestiva di nuovo, poi riusciva. La sentivo spesso rientrare tardi la notte, canticchiando piano, mentre dietro di lei qualcuno camminava con precauzione in punta di piedi". Mentre papà "fingeva di non vedere nulla", sempre in viaggio, "minato dalla febbre per i grandi affari come altri dall'alcol e dal gioco".
Le due donne arrivarono ad odiarsi. Il loro rapporto, ambiguo e complicato, è descritto con grande maturità artistica e consapevolezza in diversi libri, come "Il vino della solitudine", "Jezabel" e "Il ballo".

Il successo come scrittrice
Dopo essersi trasferiti per qualche anno a San Pietroburgo e poi a Mosca, i Némirovsky dovettero fuggire dalla Russia prima che i Soviet acquisissero il potere e confiscassero tutti i beni dei privati. La famiglia si trasferì a Parigi, dove il padre riuscì a riprendere i suoi più che fiorenti affari: i Némirovsky si inserirono nell'alta borghesia parigina, e lì si godettero gli "Anni ruggenti" (il terzo decennio del Novecento).
Irene continuò gli studi di lettere e inizia a scrivere racconti e novelle. A 18 anni, intanto, conosce il banchiere Michel Epstein, con cui si sarebbe sposata. Nel 1929, quando l'editore Bernard Grasset ricevette i manoscritti di "David Golder", egli lesse l'intera opera in una notte. Quando poi si trovò davanti Irène Némirovsky, egli faticò a credere che quella giovane borghese potesse essere l'autrice di una storia così "audace, insieme crudele e brillante – un'opera in tutto e per tutto degna di un romanziere maturo".
L'opera rese la Némirovsky decisamente famosa, e negli anni '30 Irène si affermò anche in società, partecipando a diversi eventi mondani. Nonostante ciò, gli Epstein non riuscirono ad ottenere la cittadinanza francese. Nel 1933, quando Hitler sale al potere, Irène espresse tutta la sua preoccupazione alla sua infermiera: "Mia povera cara, entro poco saremo tutti morti". Dopo la Notte dei Cristalli, la paura della scrittrice aumenta e la famiglia sceglie di convertirsi al cattolicesimo: fu l'ultimo tentativo disperato di non candere vittima dei nazisti. Era il 1939: a settembre, la Seconda Guerra Mondiale ebbe inizio. Quando la Francia venne invasa, entrarono in vigore le leggi razziali naziste, che escludevano gli ebrei da ogni attività pubblica.
Irène, che inizialmente aveva riposto la sua fiducia nello stato francese, si rese conto troppo tardi di aver sbagliato a non fuggire immediatamente. Nel mese di giugno del 1940 scrive: "Dio Mio! Cosa mi fa questo paese? Mi rifiuta e - diciamolo francamente - perde ai miei occhi l'onore e la vita. E cosa fanno gli altri Paesi? Cadono gli imperi. Nulla importa."
La morte della Némirovsky e il romanzo perduto
Nel 1941 Irène Némirovsky e Michel Epstein lasciano Parigi e si ritirano in campagna, raggiungendo le figlie all'Hôtel des Voyageurs di Issy-l'Evêque. In questi anni inizia a scrivere Suite francese, un romanzo che, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuto essere composto da cinque parti. Più passava il tempo, più il mondo sembrava vicino all'Apocalisse. La fine incombeva, e Irène Némirovsky lo sentiva. Quest'impressione traspare con intensità in Suite Francese:
Il sole, ancora tutto rosso, saliva in un cielo senza nuvole. Partì una cannonata così vicina a Parigi che tutti gli uccelli volarono via dalla sommità dei monumenti. Più in alto si libravano grandi uccelli neri, di solito invisibili, spiegavano al sole le ali di un rosa argenteo, poi venivano i bei piccioni grassi che tubavano e le rondini, i passeri che saltellavano tranquillamente nelle strade deserte. Su ogni pioppo dei lungosenna c'era un nugolo di uccelletti scuri che cantavano frenetici. Nelle profondità dei rifugi arrivò infine un segnale remoto, attutito dalla distanza, sorta di fanfara a tre toni: il cessato allarme

Il 13 luglio del 1942, dopo una denuncia anonima, Irène Némirovsky venne raggiunta dai gendarmi e arrestata. Michel cercò in tutti i modi di avere notizie dalla moglie, ma per quanto si adoperi non ottiene nulla. Il 17 luglio Irène viene deportata a Auschwitz nel vagone numero 6. Viene assegnata al campo di Birkenau. Debilitata, la fanno passare al Revier («Infermeria», dove i malati venivano assistiti). Esattamente un mese dopo, la scrittrice morì di tifo.
Dopo che entrambi i genitori erano stati arrestati, le figlie Élisabeth e Denise vennero nascoste dalle bambinaie e da altri amici di famiglia. Il padre si era assicurato che le due bambine portassero sempre con sé i manoscritti inediti della madre, tra cui Suite francese. La madre era riuscita a completare soltanto due delle cinque parti. Ciascuna aveva come cornice l'esodo del giugno 1940 e l'occupazione tedesca della Francia.

Per interi decenni, Suite francese rimase chiuso nella valigia dove lo aveva nascosto Michel: le figlie non riuscirono a trovare il coraggio di leggere i diari e gli scritti della madre. Il romanzo venne pubblicato in Francia nel 2004, e divenne subito un grande successo.
La madre di Irene, a quanto pare, trascorse la guerra in un grande albergo di Nizza, nascondendosi dietro ad una finta identità. Tornò a Parigi dopo la Liberazione e visse di eccessi fino alla morte, avvenuta nel 1972. Dopo la morte della figlia e di Epstein, la governante provò a bussare alla sua porta per portarle le nipoti. "Quella porta" raccontò Denise "non l'aprì, gridando attraverso i battenti: Io non ho nipoti!"