L'iniziale investimento di Morgan (ben 75.000$) permise di acquistare l'equipaggiamento iniziale e finanziò molti degli ardui viaggi compiuti per raggiungere ogni tribù. Alla fine, il lavoro spaziò per oltre tre decadi, che Curtis passò non soltanto spostandosi da un luogo all'altro, ma anche vivendo tra le differenti tribù. Attraverso il vasto continente americano, Curtis raggiunse postazioni remote nelle Grandi Pianure, l'ovest montuoso, il confine con il Messico, l'Alaska, il Canada e le coste del Mar Glaciale Artico.
Edward Curtis era interessato non soltanto alla fotografia: voleva effettuare un ritratto completo della cultura dei Nativi Americani. Voleva documentare il più possibile della loro vita tradizionale prima che sparissero per sempre. Ad oggi, il lavoro di Curtis è una delle più preziose testimonianze storiche del modo in cui vivevano questi popoli all'inizio del XX secolo.

Curtis visitò oltre 80 tribù, e creò 10.000 cilindri di cera contenenti registrazioni della musica e del linguaggio dei Nativi Americani, materiale di primaria importanza per preservare la loro eredità culturale. Il suo lavoro è anche una dura testimonianza del modo in cui questi popoli furono costretti a rinunciare alle loro terre e ai loro diritti, a causa dell'avidità dell'uomo bianco, fosse esso di discendenza inglese, francese, olandese o spagnola.
Le foto di Edward Curtis raffigurano le tradizioni uniche dei soggetti, e li ritraggono circondati dai suggestivi paesaggi naturali delle loro terre. Ammirando queste opere, veniamo trasportati in luoghi e tempi che non esistono più. Una selezione di queste fotografie si può trovare nel libro The North American Indian.

Purtroppo, il libro non ebbe il successo sperato, parzialmente a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, ma anche per lo scarso interesse mostrato dal pubblico nei confronti della cultura dei Nativi Americani. Curtis era relativamente finito nel dimenticatoio ai tempi della sua morte, ma l'interesse nel suo lavoro è di recente esploso e continua ancora oggi.
Mick Gidley, professore emerito di Letteratura America alla Leeds University (Inghilterra), ha scritto a lungo sulla vita di Curtis: "The North American Indian non poteva diventare popolare. Ma di recente antropologi e altri studiosi [...] hanno iniziato ad apprezzare il valore dei risultati del progetto: sono state predisposte esibizioni, sono state pubblicate antologie di immagini [...]. Il libro non è un monolite, o un semplice monumento. È vivo, parla, anche se con molte voci, e tra queste, benché forse mescolate, ci sono quelle di individui altrimenti silenti o silenziati".Nel suo libro Shadow Catcher: The Life and Work of Edward S. Curtis, Laurie Lawlor racconta che molti Nativi Americani chiamavano Curtis "Shadow Catcher" (l'agguantatore di ombre). "Ma le immagini che catturava erano motlo più potenti di semplici ombre. Gli uomini, le donne e i bambini di The North American Indian sembrano vivi, oggi, tanto quanto lo erano quando Curtis li ritrasse, all'inizio del ventesimo secolo. Curtis rispettava i Nativi Americani che incontrava e voleva comprendere la loro cultura, la loro religione e il loro stile di vita. In cambio, i Nativi Americani lo rispettarono e si fidarono di lui. Se lo giudichiamo secondo gli standard del suo tempo, Curtis era decisamente avanti rispetto ai suoi coevi in sensibilità, tolleranza, e apertura."








