Questa filosofia prende il nome di wabi-sabi: un'espressione collegata al Buddismo Zen.
I buddisti insegnano che tutte le cose hanno "impermanenza" (mujō), "sofferenza" o danni (ku) e "non-sé" (kū). Per questo, il wabi-sabi può apprezzare l'umiltà, la fragilità e il tempo di un oggetto.
Wabi-sabi è composta da wabi, che si riferisce alla bellezza racchiuse negli oggetti asimmetrici, e "sabi", che indica la bellezza dell'invecchiare e dell'impermanenza della vita.
Wabi-sabi si può applicare in molti campi, ma è incarnata perfettamente in quello delle ceramiche, umili oggetti di uso quotidiano. I pezzi più antichi e preziosi possono essere scheggiati, venati o opachi, o addirittura incompleti.
Per quanto riguarda la ceramica il wabi-sabi, talvolta, si declina nel kintsugi. Questa pratica consiste nel riempire le crepe delle ceramiche con l'oro, per mostrare la bellezza dei difetti piuttosto che nasconderli.

Tazza del periodo Edo (Foto: Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0))

Il kintsugi (Foto: Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0))

Tazza da thè del 18-19esimo secolo. Foto: Wikimedia Commons
Nei secoli, il wabi-sabi si è abbracciato alla cerimonia del thé, detta "tencha", in cui matcha in polvere viene unita ad acqua calda per creare una bevanda salutare che permetteva ai monaci di stare svegli durante lunghi periodi di meditazione.
Nel 1488 il monaco Murata Jukō, a Kyoto, ha redatto un testo in cui veniva descritta una cerimonia del thé basata sulle idee del wabi-sabi, incoraggiando l'uso di ceramiche artigianali, consumate dall'uso e dal tempo.

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