Storia dell'alchimia: chi erano gli ambiziosi ricercatori che studiavano la trasformazione della materia
L'alchimia è una tradizione che ha attraversato moltissimi secoli di storia. Filosofia esoterica, ovvero in parte concernente conoscenze "riservate a pochi", è oggi presente nell'immaginario collettivo, tornando in varie forme nella cultura di massa.
Storia dell'alchimia: chi erano gli ambiziosi ricercatori che studiavano la trasformazione della materia
L'alchimia è una tradizione che ha attraversato moltissimi secoli di storia. Filosofia esoterica, ovvero in parte concernente conoscenze "riservate a pochi", è oggi presente nell'immaginario collettivo, tornando in varie forme nella cultura di massa.
L'alchimia è una tradizione che ha attraversato moltissimi secoli di storia. Filosofia esoterica, ovvero in parte concernente conoscenze "riservate a pochi", è oggi presente nell'immaginario collettivo, tornando in varie forme nella cultura di massa.
La storia e il significato di alchimia sono estremamente affascinanti. Qua sotto cerchiamo di esplorarli.

Il laboratorio dell'alchimista, Hans Vredeman de Vries (1595)

Il significato di "alchimia"


Si pensa che il termine alchimia derivi dall'arabo al-khīmiyya o al-kīmiyya (الكيمياء o الخيمياء). "al" è un articolo determinativo, mentre la parola kīmiyya significa "chimica" e deriva a sua volta dal termine greco khymeia (χυμεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare".

Il primo fine dell'alchimia è stato quello della trasformazione della materia. Gli alchimisti volevano scoprire come trasformare il piombo, visto come qualcosa di "negativo", in oro, nel tentativo di tirar fuori l'essenza divina della sostanza stessa.
La metallurgia, sviluppata verso la fine del Neolitico, contribuì a sviluppare l'interesse degli studiosi nella trasformazione della materia. In un momento storico in cui gli studi su fisica e chimica ancora non esistevano, gli alchimisti sottolinearono gli aspetti spirituali e simbolici di questo processo.

Se dopo un mese o due vorrai osservare i fiori vivaci e i colori principali dell'Opera, ovvero il nero, il bianco, il giallo citrino e il rosso, allora senza alcuna altra operazione manuale, ma solo con la regolazione del fuoco, ciò che era manifesto sarà nascosto; ciò che era nascosto sarà manifesto.

-Tommaso d'Aquino

L'alchimia nell'antichità


Risalire all'origine dell'alchimia non è un'impresa semplice. L'alchimia è intrecciata con molte differenti tradizioni filosofiche, che spazierebbero addirittura su tre continenti (Europa, Asia e Africa) nell'arco di quattro millenni. Non bisogna dimenticare, inoltre, che l'alchimia ha sempre avuto una particolare inclinazione al linguaggio criptico e simbolico.
Alle origini dell'alchimia troviamo due canali distinti e parzialmente indipendenti: quella orientale, nata in Cina nel contesto del Taoismo, e quella occidentale, nata prima di tutto in Egitto e poi portata in Grecia, a Roma, nel mondo islamico e nel resto d'Europa.

Se l'alchimia occidentale era interessata soprattutto alla trasmutazione dei metalli, quella cinese si sviluppò maggiormente nell'ambito della medicina. Gli alchimisti cinesi cercarono a lungo l'elisir dell'immortalità (così come, d'altro canto, in Europa si cercò la celebre "pietra filosofale"). In Cina, la tradizione alchemica risale addirittura al IV-III secolo a C. Uno dei documenti più importanti dell'epoca venne redatto da Wei Po-Yang, ed è un commentario del "Libro delle Mutazioni". L'autore pone, alle basi del processo alchemico, cinque stati di mutamento: acqua, fuoco, legno, metallo e terra, e due principi contrari, yin e yang. Lo yin è associato alla Luna e lo yan al Sole. Dalla loro interazione nascono i diversi stati, anche detti "elementi". Il testo presenta una concezione evolutiva dei metalli, collegata a piani psichici e addirittura cosmici.

Denys Molinier, L'Alchimie de Flamel

In Egitto, invece, per gli alchimisti fu importante notare che la terra nera del Nilo diventa fertile grazie all'"humus", una sostanza derivante dalla macerazione di foglie, alberi e anche animali morti. Gli studiosi osservarono con facilità che le piante venivano mangiate dagli animali erbivori, che i carnivori mangiavano gli erbivori e che ogni essere vivente, decomponendosi, tornava a far parte del ciclo per rimanervi in eterno.
Per evitare che i resti umani si trasformassero in "altro" in queste "trasmutazioni periodiche" dell'humus, gli alchimisti egizi capirono come mummificare i morti, in modo che i corpi rimanessero inalterati dopo la morte. Per dimostrare che i re tendevano alla purezza solare, gli egizi costruirono le piramidi sopra le loro tombe.

Particolarmente rilevante e ben documentata da fonti giunte fino a noi fu l'alchimia nel mondo islamico. Alchimisti come al-Razī, ad esempio, diedero un contributo fondamentale alla chimica, scoprendo la tecnica della distillazione e sostanze come l'acido muriatico, l'acido solforico, l'acido nitrico e l'uranio, ma anche la soda (al-natrun) e il potassio (al-qali), da cui derivano oggi i nomi internazionali del sodio e del potassio, Natrium e Kalium. Particolarmente importante fu proprio l'apporto, da parte dell'alchimia islamica, alla nomenclatura che entrò a far parte della cultura occidentale. Tra gli altri, oltre al termine stesso "alchimia"; troviamo alcool (da al-kohl, indicante una polvere per il trucco ricavata dall'antimonio) e elisir (da al-iksīr, "pietra" filosofale).
Gli alchimisti islamici scoprirono che l'acqua regia, un composto di acido nitrico e muriatico, poteva dissolvere il metallo nobile come l'oro. Questo accese l'immaginazione degli alchimisti per il millennio a venire. Jābir b. Ḥayyān (in arabo جابر إبن حيان, Geber o Geberus in Latini), nato agli inizi dell'VIII secolo, analizzò gli elementi sulla base delle quattro qualità di caldo, freddo, secco e umido, ipotizzando che mescolando queste qualità nei metalli si potesse ottenere un metallo differente.


La trasformazione della materia e il segreto della Pietra Filosofale


Le trasmutazioni alchemiche erano influenzate da poteri superiori che correlavano i metalli con i corpi celesti in maniera indissolubile. Nessuna trasformazione era casuale, ma rappresentava gli influssi del cielo sulla Terra.

Joseph Wright of Derby, L'alchimista scopre il fosforo cercando la Pietra Filosofale (1771)

La Grande Opera, o Magnus Opus in latino, è il nome dell'itinerario alchemico di trasformazione della materia, il cui fine ultimo è l'ottenimento della pietra filosofale. Il processo è però intimamente legato alla metamorfosi spirituale e personale dell'alchimista, ed è diviso in diversi passaggi caratterizzati da cambiamenti di colore.
In origine le fasi erano quattro: nigredo, "annerimento", associata alla terra, al piombo e alla putrefazione, ma anche alla notte, a Saturno, al corvo, all'inverno e alla vecchiaia; albedo, "sbiancamento", associata all'acqua, all'argento, alla distillazione e alla purificazione, ma anche all'alba, alla Luna e al femminile, al cigno, alla primavera e all'adolescenza; citrinitas, "ingiallimento", associata all'aria, all'oro, alla sublimazione e alla combustione, ma anche al giorno, al Sole e al maschile, all'aquila, all'estate e alla maturità; rubedo, "arrossamento", associata al fuoco, al mercurio filosofale e al cinabro, alla coagulazione, ma anche al tramonto, all'incontro tra il Sole e la Luna, all'androgino in qualità di fusione tra maschile e femminile, al matrimonio tra anima e spirito, alla fenice, a Mercurio e ad Ermes, e alla pietra filosofale.

 Le tre fasi del Magum Opus o

La pietra filosofale, o "pietra dei filosofi" (lapis philosophorum) è la sostanza capace di risanare la corruzione della materia.
Le sue proprietà più straordinarie sarebbero il fatto che è in grado di conferire l'immortalità, che permette di acquisire l'onniscenza (la conoscenza assoluta di passato, presente e futuro, ma anche di bene e male), e che renda possibile trasmutare i metalli vili in oro.
L'oro, considerato "immortale", era connesso all'immortalità del corpo. Nell'ottica della connessione tra trasformazione della materia e trasformazione personale, dunque, la pietra filosofale trasmutava l'alchimista che, ingerendola, avrebbe reso la propria materialità spirito, e sarebbe asceso al divino e avrebbe destato la propria anima alla veggenza.

È dunque chiaro che si può fare oro con tutti questi metalli e che con tutti, eccetto che con l'oro, si può fare l'argento; questo è evidente nelle miniere d'argento e d'oro, in cui si estraggono altri metalli che si trovano incorporati con marcassiti d'oro e d'argento. Non c'è dubbio che, se fossero stati lasciati sotto l'azione della Natura, a tempo opportuno questi metalli si sarebbero trasformati in oro e argento

-Tommaso d'Aquino

La pietra filosofia accelerava un naturale processo, una natura tendenza all'evoluzione.

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L'influsso della tradizione alchemica sulla psicologia junghiana


La dottrina dello psichiatra e psicoanalista Jung (1875-1961) pose molta attenzione ai simboli e al loro significato nella cultura e nel cosiddetto "inconscio collettivo", espresso attraverso archetipi, ovvero "impostazioni psichiche innate" e trasmesse in modo ereditario, formatesi nel corso della storia dell'umanità. L'inconscio collettivo deriva dunque dall'esperienza dell'umanità come l'inconscio personale deriva dall'esperienza individuale.
Jung riflette sul fatto che le fasi dell'Opus alchemicum possono avere una corrispondenza nel processo di individuazione, ovvero di acquisizione della propria individualità e della consapevolezza di essa. Una possibile lettura dell'alchimia è dunque, per lo psicoanalista, quella di una proiezione degli archetipi sul mondo materiale. Allo stesso modo, il procedimento per ottenere la pietra filosofale sarebbe una rappresentazione dell'itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell'io dai conflitti interiori.

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